La storia siamo noi

Molto è stato scritto su Atri e la sua storia millenaria, le sue tradizioni, l’architettura, l’arte, i tesori e l’immenso patrimonio culturale che si respira camminando per i suoi vicoli. Meno conosciuta è forse la micro-storia atriana fatta di vicende vissute da persone comuni che comunque hanno contribuito alla fortuna della Città Ducale
di Federico Centola
foto: Carlo Anello
Ogni volta che metto piede ad Atri, ormai sempre più raramente purtroppo, la mente mi riporta in automatico agli anni ’70. Per me un periodo indimenticabile che ha coinciso con gli anni in cui ho frequentato il Classico “Luigi Illuminati”, quando il Liceo si trovava sotto i portici del corso principale e i pullman avevano il capolinea in piazza Duomo. A noi studenti liceali – così come ai futuri ragionieri dello “Zoli”, la cui sede si trovava proprio di fronte la nostra – era quindi riservato il privilegio di vivere la città da un osservatorio privilegiato visto che ci avevano messo a disposizione il cuore pulsante della città. Per me che venivo da Roseto era considerata un’anomalia iscriversi al Liceo di Atri, quando c’erano quelli più ‘comodi’ (logisticamente parlando) di Pescara o Teramo. Un’ora di viaggio per la vecchia strada che passa da Casoli, con l’ultimo tratto sempre con il fiato sospeso a guardare il vecchio e malandato bus rosso ‘Capuani’ che raschiava i guard-rail sui tornanti dei Calanchi, sempre spettacolari ma assai paurosi visti da lassù. Non a caso eravamo solo in due rosetani alla fermata mattutina (io e Maria Grazia, puntuali poco dopo l’alba, se si voleva arrivare in tempo a scuola), mentre in quella di fronte erano decine gli studenti rosetani che si imbarcavano sull’Int (Istituto Nazionale Trasporti, si chiamavano così allora gli autobus che collegavano i centri più frequentati della provincia) diretti nelle scuole superiori di Teramo. Senza considerare i costi dell’abbonamento: di almeno quattro volte superiore quello per Atri in quanto il servizio era gestito da una ditta privata. Ma nonostante questi piccoli (o grandi) inconvenienti ancora oggi posso affermare che mai nella mia vita ho fatto una scelta migliore nel decidere Atri quale sede della mia scuola superiore. Senza ombra di dubbio gli anni più spensierati della mia esistenza, ai quali sono legato in maniera così viscerale da sentirmi ancora parte integrante della Atri di quel periodo. Ricordo ancora l’emozione di assistere ai lavori che ordinava il Comune, quando bastava fare uno scavo, neppure tanto profondo, che veniva alla luce un reperto archeologico. Come nel caso del mosaico di piazza Duomo, scoperto proprio durante i miei anni atriani.
Quando mi capita di tornare a camminare per Corso Elio Adriano, o anche solo tornando a ‘girare’ in Villa, rivedo gli amici di allora (i pochi che hanno deciso di rimanere e non migrare altrove per lavoro come invece hanno fatto in tantissimi) quasi che il tempo non avesse cambiato la loro immagine. I flash-back si fanno ancora più potenti quando mi trovo a camminare sotto il porticato dove diventa assai più vivo il ricordo di quei giorni, dei vecchi compagni di Liceo. Il pensiero va al preside Francesco Barberini, del quale ricordo ancora benissimo la voce e quel suo modo particolare di intrecciare le dita delle rosee mani quando parlava. Fu lui a entrare in classe quella mattina di marzo per annunciarci il rapimento di Aldo Moro, il quale tra l’altro era venuto ad Atri solo qualche mese prima e lo stesso Barberini era tra le persone che lo accolsero nella Città Ducale. Non dimenticherò mai l’espressione del suo viso nell’annunciarci la tragedia che si era appena consumata in via Fani: un misto di incredulità e terrore. Volle condividere con noi studenti dell’ultimo anno uno delle vicende più drammatiche della storia italiana.
Un fil- rouge immaginario tiene insieme episodi e personaggi della storia italiana ma che attraverso la cosiddetta “micro-storia” arriva dritta fino a noi. E un esempio è rappresentato proprio dalla vita di Barberini, attraverso il quale fatti e persone del passato, recente o remoto che sia, arriva fino a noi con Atri sempre sullo sfondo. Il legame adriatico tra la città natale di Barberini (Fano, 1919) e le sue città d’adozione (Pescara dove abitava e Atri) ha rappresentato per lui anche la causa di una passione, quella per Gabriele d’Annunzio, che lo ha accompagnato dagli anni della maturità fino agli ultimi tempi, passando per la parentesi dell’Università, a Roma, quando da studente di Lettere frequentava la Biblioteca Vaticana e chiacchierava con Giulio Andreotti e Alcide De Gasperi. Barberini aveva conosciuto il Vate di persona al Vittoriale, durante una gita scolastica da maturando classico, nel 1937. Nella Città Ducale il preside Barberini aveva trovato l’amore (sua moglie Filomena Eugeni è di famiglia atriana) e proprio ad Atri aveva avuto le prime soddisfazioni come insegnante, storico e giornalista al Gazzettino Atriano, prima di diventare dirigente scolastico. L’amore per Atri da parte del preside Barberini si è in seguito concretizzato anche per la sua battaglia storico-linguistica che ingaggiò in campo nazionale perché fosse affermata la paternità della Hatria abruzzese e non della Adria veneta sul nome del nostro mare. “Atri fu il primo luogo sul mare Adriatico venuto stabilmente in potere di Roma, cardine di difesa nei confronti degli altri popoli dell’Italia centro-orientale. Essa ebbe ben presto il compito di tenere a freno tra l’altro i Vestini, rimasti neutrali, e di difendere la sicurezza del mare, per cui costituì una delle cause che portarono i Romani alla guerra contro Taranto. Durante questa dura prova di Roma, Atri come colonia fornì truppe e mezzi, mentre teneva a bada le popolazioni circostanti”. (da Atri romana, 1970, di Francesco Barberini).
Un velo di tristezza mi pervade quando trovo la Atri odierna semi-deserta, con le persone dall’espressione stanca e annoiata. È vero, nella città vetusta mancano molti dei servizi che rendono appetibili i centri costieri più moderni e in voga oggi, ma di certo poter entrare in un negozio anche alle dieci di sera non vale neppure una pietra del selciato più periferico della Atri romana descritta dal preside Barberini. E poi la spesa si può fare anche in orari normali. Basta organizzarsi.

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